Dalla Rivista PESCARE – Aprile 1976
"Chilometri e trote"
Un
tale che incontrai con la mosca in un bellissimo fiume non molto tempo
fa mi disse, mentre si parlava con le gambe sotto a un tavolo e
con davanti un fiasco di rosso ormai mezzo vuoto, che per lui non era
giusta tutta la propaganda che si faceva alla pesca con la mosca. E
questo per il semplice fatto che in poco tempo i pescatori dediti a
questa tecnica sarebbero aumentati da dover poi fare a gomitate per
poter pescare. Aggiungeva che mentre oggi si riesce a trovare ancora un
posticino pescabile, domani chissà.
E in effetti un ragionamento siffatto a orecchio fila. Ma a pensarci
era distorto da un vizio di fondo: l’egoismo, il classico latino “me ne
frego” o “pancia mia…” ecc. ecc.
Il nostro amico, che fra l’altro tecnicamente era un ottimo pescatore,
si preoccupava -affermandolo- di dover fare diversi chilometri
per poter pescare. Ragion per cui la sua legge di appagamento era
quella di avere a fine giornata nel suo cestino un numero di trote tale
da controbilanciare la spesa della benzina, l’usura delle gomme, il
pasto, e così via.
Dal momento che in quel fiume c’erano trote in numero sufficiente da
poter appagare questa sua necessità per lui i conti tornavano. E si
sbracciava a decantare la bellezza e la sportività…. della pesca a
mosca.
Quando gli dissi che domani forse quello stesso fiume, come altri, con
simile andazzo non avrebbe forse ospitato più tante trote, mi disse
candidamente che ne avrebbe cercato un altro. Dunque più chilometri e
più trote per far quadrare i conti. Tutto questo nel pieno rispetto del
suo concetto di sportività.
La sua osservazione poi non teneva conto - come confermato dal suo
comportamento- di quel processo evolutivo che di norma si riscontra nel
pescatore che pratica la mosca ovvero un accrescimento dell’interesse
verso l’ambiente e una consequenziale tendenza del singolo a un
maggiore impegno personale per la tutela di questo. Sì da poter fare in
avvenire un discorso diverso da quello subìto fino ad oggi e con
finalità non necessariamente attinenti alla sola pesca.
Sobbarcandomi la parte del buon samaritano, per amor di discussione gli
chiesi - come pescatore e quindi come parte direttamente
interessata- cosa ne pensava dei problemi della pesca in generale.
La discussione si animò con toni molto coloriti, ma diciamo che secondo
lui certi ripopolamenti erano non proprio di suo gradimento, che lo
stato delle acque che prima frequentava non erano proprio perfette e
che l’impegno di certe autorità di sua conoscenza non era -sempre
secondo lui- esattamente quello che fa sudare le sette camicie.
Ma lui avrebbe in definitiva continuato imperterrito a pescare in silenzio fino…..
A questo punto viene da chiedersi quanti pescatori si trovino nelle
medesime condizioni del nostro amico e se la colpa, se colpa
sussiste, è proprio tutta loro o se non è anche di chi, preposto,
ragionando come lui, non gli ha mai prospettato concretamente qualcosa
di diverso.
E viene da chiedersi fino a quando si continuerà a considerare il fiume
come una cosa lì da sempre, dataci dal padreterno. E ad aspettare
immoti che la solita quanto anonima “autorità” ci dia oggi il nostro
pesce quotidiano o si decida ad aumentare di un centimetro la misura di
questo o quel pesce. O che intervenga arginando certi scarichi immondi
che ci avvelenano le budella dopo aver fulminato quelle dei pesci!
Ma in questo nostro paese si ragiona come al solito col senno del poi
cercando di tappare buchi che nel frattempo diventano voragini.
E allora che si fa? E’ giusto stare a guardare come il nostro amico,
magari trastullandosi con una bella canna tra le mani? Magari da mosca!