"Profumo di lavanda"
Allora si abitava in zona Ponte Rosso, all'inizio di Via Faentina, con
mia mamma che faceva la modista per un negozio del centro, pare fosse
anche piuttosto brava, e mio padre camionista in una impresa edile.
Quanto a me, tornato da militare da poco, ero in attesa di trovare un
impiego, ma avevo buone speranze di essere assunto in una ditta di
trasporti.
Verso le sei di quel pomeriggio mia madre mi
incaricò di portare a una certa marchesa, di là d'Arno, un cappellino
nuovo, appena sfornato, che con tanto di carta velina aveva
accuratamente confezionato in una scatola rotonda -tipo quella dei
panettoni- e che a mia volta sistemai nella cassetta di legno da
frutta assicurata dietro al sellino della vecchia bicicletta, a guisa
di portapacchi.
Appena imboccata via Cavour, alla fermata dell'autobus,
poco più avanti notai, forse perché era la sola in attesa, una giovane
piuttosto carina e mi meravigliai perché l'apostrofai d'istinto
frenandole davanti.….
- Oh signorina, oh che aspetta costi?! Non lo sa che oggi è il 1° maggio e gli autobus un passano!
Per la sorpresa lei spalancò gli occhi già grandi e
belli di suo tanto che mi parvero due lapislazzuli e atteggiò le rosse
labbra a mò di ciliegia mentre si portava la mano alla fronte:
-Che scema, me ne sono proprio scordata! E ora
come faccio, di sicuro fò tardi….- lasciando in sospeso la frase come a
chiedere consiglio.
In quei pochi istanti il mio sguardo ne aveva
approfittato per scivolare ratto da una cascata di capelli scuri, forse
mossi da bigodini notturni e ora ornati da un nastro rosso, a un paio
di gambette magre, nervose e affusolate che la gonna lasciava
intravedere dal ginocchio in giù. Altrettanto velocemente era risalito
all'ovale perfetto del viso che mi stava parlando e non trovandovi che
bellezza aveva indugiato sulla camicetta bianca, attillata di quel
tanto da fare intuire quel che cercava di nascondere: un seno giovane e
sfrontato pur se minuto. La vita sottile, i fianchi promettenti… e quel
sorriso che ora mi scoccava un po’ imbarazzata, la testa leggermente
piegata di lato, il che le aveva fatto scivolare sulla fronte un
ricciolo che con un gesto aggraziato della mano tentava di rimettere al
suo posto….
Insomma, proprio una bella figliola.
-Oh dove deve andare? azzardai sentendo che se volevo attaccare discorso toccava di parlare a me.
- Dovevo andare in Via della Scala a dare il
cambio a una cugina che assiste una anziana parente che, poverina, sta
parecchio male….- e il suo sorriso si imbronciò mentre la voce ebbe una
sfumatura di tristezza.
- Eh no, oggi non passano - ribattei di
slancio - ma se crede, visto che vado da quelle parti…(bugiardo!) se si
accontenta… Le potrei dare un passaggio… e allargando le braccia
indicai la canna della bicicletta come a farle posto.
Non avevo finito la frase che mi sentii un
idiota: figurarsi se una così accettava un passaggio da uno sconosciuto
e per di più sulla canna di una vecchia bicicletta anche un po’
sgangherata. Invece lei parve pensarci un attimo:
- Mah, veramente non saprei, non vorrei disturbarLa…
Non credevo ai miei orecchi e d'impulso esclamai:
- Ma che disturbo! Venga, venga, salga e s'accomodi, che s'arriva in un amen! -
Ci accorgemmo entrambi che in quest'ultimo
invito c'era stata troppa enfasi, con una tonalità stranamente più alta
e mi sentì arrossire, ma lei fece finta di niente e si avvicinò alla
bici. Allargai la gamba per farle posto e mentre il mio battito
cardiaco cresceva, quando fu quasi fra le mie braccia, mi guardò dritta
negli occhi, come se dovesse decidere definitivamente se fidarsi o no,
poi mi sorrise appena, si aggiustò la gonna e con un saltello si
sistemò sulla canna: -Pronta! esclamò allegra e dalla sua voce era
sparita ogni ansia.
-Si parte!- ribattei con slancio e nello
sforzo della prima pedalata il mio viso quasi affondò nei suoi capelli
e fui pervaso da un inebriante profumo di lavanda.
Insomma, avevo questa bella figliola sulla mia
bicicletta, quasi l'abbracciavo, ne sentivo il profumo, la risata
timida o argentina, qualcosa dovevo pur dire.
- Belle giornate queste, vero? Si sente che
fra un po’ sarà estate. Di nuovo mi sarei sotterrato per l'uscita
banale: ma si può essere più imbranati di così!? Lei cortese mi rispose
a tono poi mi chiese che lavoro facessi.
- Sto per essere assunto come impiegato, sa? - risposi con una vena di vanesia sufficienza, - e lei?
- Sono al secondo anno di università, ma
faccio qualche lavoretto, dò qualche ripetizione, un po’ di babysitter,
insomma, ci si arrangia.
Altra gaffe, io che ero stato bocciato un paio
di volte e che mi ero fermato alla quarta geometri …. Ma non c'era
bisogno che ne accennassi.
Prima di entrare in Piazza San Marco,
preceduto dai celerini, vidi venir su dalla Prefettura una
manifestazione, un corteo vociante, un agitarsi di striscioni e
bandiere rosse, e per non restare imbottigliato prudentemente svoltai
per Piazza Indipendenza dove un volo di rondini ci accolse forse
garrendo alla mia emozione.
Quasi a ogni pedalata, pur facendoci
attenzione, il mio ginocchio sfiorava le sue gambe, il mio braccio la
pelle del suo e a tratti quel ricciolo ribelle mi sventolava sul viso
un irresistibile profumo di lavanda. Via, via la conversazione era
diventata meno banale, a tratti spiritosa, con la spensieratezza dei
vent'anni ed ebbi modo di apprezzare la sua naturalezza e simpatica
cordialità condita da quel pizzico di maliziosa, innocente civetteria
tanto da farmela desiderare. Quando si voltava per parlarmi le nostre
bocche erano talmente vicine….
In Piazza Stazione, davanti alla caserma dei
Carabinieri smontammo e proseguimmo fianco a fianco fino al Bar De Anna
dove volle che ci salutassimo;
- Se qualcuno ci vedesse, chissà cosa penserebbe…. Mi dispiacque, ma capii e comunque non avevo scelta.
- Allora arrivederLa e tanti auguri per quella su' parente…
- Arrivederci e grazie tante! - rispose
lanciandomi ancora uno sguardo sbarazzino e tendendomi la mano che
agguantai prontamente, quasi a volerla trattenere. Quel contatto mi
fece tremare le ginocchia e sentii che stavo per rinunciare a qualcosa
di molto, molto importante.
- Aspetti - esclamai meravigliandomi della mia
audacia e poi, sempre più impacciato paventando un rifiuto senza
possibilità di appelli, deglutii e …
- Domenica all'Apollo danno "Pane, amore e fantasia", con la Lollobrigida, Le andrebbe…?-
Ci pensò un attimo, poi con lo stesso sorriso…
- Mi farebbe piacere, dicono che è un bel film, ma purtroppo… (tremai)… prima delle 4 non posso.-
- Aggiudicato per le 4!- tagliai corto prima che potesse ripensarci- e l'aspetto davanti al cinema.-
Lei annuì con una risatina e sparì dietro la
cantonata agitando la mano senza voltarsi. Sapeva che avrei continuato
a guardarla allontanarsi. Notai che non portava anelli, ma mi accorsi,
solo allora, che non sapevo come si chiamasse: non ci eravamo
presentati.
S'era fatto un po’ tardi e pedalai veloce per
portare a compimento la commissione, ma i miei pensieri erano altrove.
Attraversando l'Arno in cielo era tutto un via vai di rondini. Era un
giovedì di primavera, una giornata radiosa come Firenze sa regalarne
spesso.
Poi il vuoto. Ricordo solo, e lo rammento bene, che
la governante della marchesa, nel ritirare la scatola con il
cappellino, come se fossi stato un miracolato, mi allungò una mancia,
facendomi notare che erano ben 100 lire! Io non mi aspettavo
nulla, non avevo chiesto nulla e non mi importava di nulla, ma per quel
gesto, in quel momento seppi che io non mi sarei mai annullato per
compiacere la ricchezza o l'arroganza che viene dal danaro e capii che
se uno è nato servitore, intellettualmente intendo, non ha più speranze
di sé perché servo ci morirà. Già ne avevo avuto sentore nei mesi di
naia.
Intascai le 100 lire senza gratitudine, quasi
con fastidio, il mio tesoro era altrove e decisi che il mio futuro
avrebbe dovuto essere diverso.
Il venerdì e il sabato in bicicletta ero
passato più volte davanti alla fermata dell'autobus, ma lei non c'era,
mentre dentro mi lievitava un impellente bisogno di rivederla.
Finalmente fu domenica: le ore non passavano
mai e ogni pochino guardavo l'orologio. Mia madre, una lenza mica da
ridere, - per scherzo soprannominata dal babbo "l'occhio di Allah"- se
ne avvide…
- Oh chi t'aspetti, Nini!? ma non ero in vena di spiegazioni.
Dopo pranzo mi asserragliai in bagno per una
lunga doccia, un taglio della barba più accurato del solito, un po’ di
deodorante nei punti giusti e mi lavai i denti a lungo, poi mi ritirai
in camera mia per vestirmi con cura.
Mentre mi infilavo la migliore camicia che
avevo, mia madre, alla quale non erano sfuggiti questi insoliti
preparativi, si affacciò sulla porta con un asciughino fra le mani e
con l'aria di chi la sa lunga…
- Oh come la si chiama!?...
- Oh mammaaa!... e spingendola fuori
chiusi la porta, ma nel tornare in cucina la sentì bofonchire - Mah,
speriamo bene…-
Mentre stavo uscendo frettolosamente, da dietro il ferro da stiro di nuovo mi apostrofò:
- Ciao! E stai attento!... E torna presto!...
e tanto per ribadire il concetto il babbo, senza alzare lo sguardo
dalle pagine dell'Unità, aggiunse - …e non fare il bischero!-
Fu questo il viatico per il mio primo appuntamento "importante".
Alle tre e mezzo ero già davanti al cinema
Apollo ad aspettarla, cercando di dissimulare ai passanti la gardenia
che avevo comprato la mattina -e che in casa avevo accuratamente
nascosto- per non presentarmi a mani vuote e poterle così regalare
"qualcosa di mio". E' sempre stato il mio fiore preferito e il suo
profumo, pensai, non avrebbe sfigurato con quello di lavanda. Comunque,
impalato sul marciapiede come un lanzichenecco, solo, con quel fiore in
mano mi pareva di passare per un citrullo…o come aveva detto il babbo,
un bischero.
Cinque minuti alle quattro, le quattro: ora
arriva, pensavo, cercandola lontana fra i passanti. Le quattro e
dieci,…e un quarto: va bene, le donne, si sa, devono sempre farsi un
po’ desiderare, ma l'ansia cresceva. Alle quattro e mezzo avevo
iniziato a disperare pensando che ero stato un bel bischero davvero a
illudermi così, quando alle mie spalle mi sorprese una vocina:
- Mi scusi, Lei sta aspettando Lea?-
Come facevo a spiegare a questa ragazzina
minuta che aspettavo il mio amore del quale non sapevo neppure il nome?
Per cui accennai di si con la testa.
- Lea Le manda a dire che si scusa tanto, ma
ieri è mancata una sua parente e non è potuta venire, per cui ha
mandato me, una sua amica, per avvisarLa… Mi ha detto che l'avrei
riconosciuta per i suoi riccioli ribelli…-
Avvampammo insieme mentre lei spostò lo
sguardo da me alla gardenia che mi rigiravo fra le mani. Poi aggiunse:
- Lea dice anche che se per Lei va bene potrebbe rimandare l'appuntamento a domenica prossima…-
In un istante riacquistai lucidità; se Lea
aveva notato i miei capelli, spesso scompigliati, significava che mi
aveva squadrato ben bene anche lei e se aveva mandato l'amica per
fissare un nuovo appuntamento, beh, voleva dire che almeno questo esame
l'avevo superato! Siii!
La ringraziai per il disturbo e la pregai di
riferire a Lea che senz'altro ci saremmo visti la domenica a venire,
stesso posto, stessa ora, di porgerle le mie condoglianze e salutarmela
tanto, tanto. E riconoscente, al settimo cielo, le regalai la gardenia.
Lei arrossì di nuovo e mentre se ne andava, come ricordandosene
all'ultimo momento, voltandosi:
- Ah, Lea mi ha anche pregato di domandarLe come si chiama!
-Aldo- risposi quasi urlando nel timore che
non mi sentisse o potesse dimenticarsene. Finalmente anch'io conoscevo
il suo nome.
Entrai nel cinema e mi persi in un bel film dove si raccontava di pane, amore e fantasia.
Ci sposammo esattamente due anni dopo e Lea
volle che fosse proprio il giorno del nostro primo incontro, il primo
maggio, che già di suo è una bella festa. Le donne, si sa, a certe cose
ci tengono parecchio! Ma andava bene anche a me.
Una volta le chiesi perché si era messa con il sottoscritto e lei elargendomi lo stesso sorriso di allora:
- Eri talmente goffo e imbranato….un amore!
Affermazione che uno come me è meglio che incassi e stia zitto, che non
tenti di controbattere….
Sono passati molti anni; nostro figlio
maggiore, bravo ragazzo, ma di poche parole come me, lavora a Milano
dove sta facendo carriera e da un po’ ci ha fatto nonni di un nipotino
che ogni tanto viene a scombussolarci di allegria il tran, tran da
pensionati, con quei suoi occhioni intelligenti di lapislazzulo e la
sua irruenta, incontenibile, curiosa vivacità. Allora mi impegno per
cercare di togliergli l'abitudine delle merendine "mordi e fuggi"
sostituendole con elaborati pane, olio e pomodoro, o pane, burro e
marmellata (quelle della nonna) e iniziandolo a osservare le meraviglie
della natura, fiori, animali, alberi, affinchè, apprezzi, impari e si
renda conto di quel sottile equilibrio che regola il tutto. E sono
momenti belli dove ci "impariamo" a vicenda.
La minore studia all'università di Perugia,
assomiglia alla mamma come una goccia, bella come il sole, impulsiva,
generosa, allegra e spesso mi manda uno striminzito messaggino di sole
tre lettere "TVB" che solo Dio sa quanto mi faccia bene.
Adesso, mentre distratto da questi pensieri
scorro le pagine di Repubblica, sento Lea, di là in cucina che armeggia
canticchiando fra sé una vecchia canzone di De Andrè. Ancora è lei che
colma i miei vuoti… e ancora oggi, ogni tanto, mi pare di sentire il
solito, vecchio, irresistibile profumo di lavanda.