Da PESCARE CON LA MOSCA - Gennaio 1978
"Il senso dell'acqua"
Che
la pesca a mosca abbia un fascino tutto suo, particolare, è cosa
assodata e dal momento che questo scritto capita tra le mani di chi in
un modo o nell’altro è interessato, guarda caso, alla mosca,
l’affermazione rischia di sfondare un uscio aperto.
Mi viene comunque spesso da chiedermi se la mosca piaccia così tanto
per quello che è in sé stessa una volta che la si eserciti
effettivamente sull’acqua, o per gli innumerevoli interessi, spesso
collegati tra loro, che suscita.Voglio dire che sul fiume se ne vedono di tutti i tipi - pescatori,
naturalmente – e mi affretto ad aggiungere un tempestivo
“fortunatamente” anche perché un esercito di pescatori fatti con lo
stampino non sarebbe, tutto sommato, né divertente, né tanto meno
costruttivo e educativo. C’è così chi sul fiume ha l’hobby di fare sfoggio dell’attrezzatura
superlativa, curandola, come è giusto che sia, con amore e rispetto,
restando estasiato dalle prestazioni che questa può offrire.
Altri invece si concentrano sulla lunghezza dei propri lanci pescando
costantemente da lontano pesci che potrebbero essere insidiati forse da
metà distanza, o comunque rimanere totalmente assorbiti
dall’osservazione del proprio lancio.
Altri pescatori che sono più attratti dal binomio mosca-insetto
impiegano la maggior parte del tempo utile della propria uscita di
pesca nella continua ricerca dell’artificiale da impiegare. E così via.
Ora è fuori discussione che tutti questi flash hanno di fondo un comune
denominatore che è costituito dall’interesse del singolo nei confronti
della pesca a mosca o in ciò che di essa per lui è più significativo.
Tali comportamenti possono inoltre originarsi da una ricerca di
miglioramento in quei settori dove ci si sente più insicuri o meno
preparati.
Ma è mia opinione, e da qui lo scopo della premessa, che in molti casi
la concentrazione nei confronti della caccia al pesce perda terreno o
quanto meno passi in secondo piano per l’attenzione eccessiva che viene
dedicata a fattori che pur possono essere importanti, quali la
padronanza del lancio o la conoscenza delle proprie mosche. Ovviamente
il controllo del lancio non può essere messo da parte, come pure è
indispensabile capire quando è il momento di cambiare una mosca.
Ma mentre sull’argomento le discussioni dei pescatori si rinnovano a
getto continuo, raramente capita di sentir parlare di come uno pesca,
di dove uno lancia. Forse perché questo è il segreto intimo di
ciascuno, conscio o inconscio che sia?
Ci sono pescatori che pur essendo meno esperti di altri o meno “anziani” catturano di più: perché?
Le possibili risposte possono essere diverse, ma a mio parere la
differenza fondamentale consiste nella migliore conoscenza del fiume.
C’è chi lo chiama “senso dell’acqua” che da qualcuno è stato definito
come il risultato delle personali esperienze fatte. Personalmente non
credo ad una sorta di “sesto senso” anche se a volte vedendo qualcuno
muoversi su per un torrente con naturalezza e spontaneità ci sarebbe da
pensarlo.
E’ stato anche detto che i pescatori si dividono in due categorie:
coloro che pescano per ragionamento e quelli che pescano per istinto.
In entrambi i casi l’origine del proprio modo di pescare si basa sempre
sull’esperienza acquisita. C’è chi non riesce a teorizzare le proprie
uscite disperdendo gran parte delle proprie esperienze e non modifica
il proprio comportamento in pesca limitandosi ad una azione monotona e
sistematica priva talvolta anche di un minimo di fantasia. Altri, pur
pescando da minor tempo, fanno tesoro di ogni lancio, di ogni
situazione riuscendo così a trovarsi maggiormente preparati a
adottare nuovi accorgimenti al mutare delle condizioni di pesca.
Questo processo può a questo punto avvenire inconsciamente, “per
istinto” o, forse meglio, in maniera del tutto naturale oppure
attraverso il raziocinio e il ragionamento con maggior concentrazione e
quindi, probabilmente, con maggior fatica.
Mentre nel primo caso la spontaneità istintiva della caccia al pesce
può concedere distrazioni di tipo “affettivo” quali quelle accennate,
il pescatore che per insidiare il pesce deve operare un continuo e
sistematico ragionamento ha molte meno opportunità di potersi guardare
attorno e se lo fa temo che sacrifichi parte dei risultati che
potrebbe ottenere.
Tuttavia sono anche convinto del fatto che è anche grazie al
ragionamento e soprattutto attraverso questo che la memorizzazione può
risultare più efficace. Se a caso riesco a indovinare la mosca nel bel
mezzo di una schiusa, non è detto che la volta successiva la stessa
mosca funzioni se non mi sono chiesto perché questa abbia funzionato.
Così in torrente se i miei lanci vengono fatti senza alcuna logica
quasi certamente rischio di fare rintanare il 70% delle trote
ipoteticamente in caccia e insidiabili.
Genericamente la definizione “senso dell’acqua” la si abbina in
strettissimo rapporto alla cattura o quantomeno al pesce. E cosa è
questa se non la conoscenza – e quindi l’assommarsi delle proprie
esperienze – in funzione proprio del pesce e delle sue abitudini?
Esistono casi di pescatori che per il desiderio di pescare a mosca, ad
esempio, passano alla pesca delle trote che magari fino a quel momento
non hanno mai insidiato neppure con altre tecniche. E’ normale che nei
primi tempi i risultati non potranno che essere scarsi. In questo caso
non è sufficiente avere una buona padronanza del lancio e una
sufficiente preparazione teorica se non si conosce il pesce e il suo
ambiente. Dove staziona, come si comporta, cosa, dove e quando mangia,
quali sono i suoi istinti, le sue reazioni e sollecitazioni, come
reagisce al variare dei livelli e delle stagioni. Anche questo e
soprattutto questo è senso dell’acqua.
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